Un piccolo insegnamento che ho imparato da “Black Swan”
Ho da poco terminato la lettura di “Cigno Nero”, by Taleb, e, tra i tantissimi spunti che il libro offre, vorrei condividerne uno in particolale: nell’affronatre un problema, le assunzioni iniziali non vanno prese alla leggera. Può sembrare un’affermazione banale, tuttavia questo è un errore che spesso viene commesso, specie in quelle scienze “esatte” (o aspiranti tali) in cui lo scopo è quello di avere un modello che descriva la realtà. Quasi sempre, però, il mondo è decisamente troppo complicato per poter essere trattato matematicamente nel dettaglio, anche ammesso che fossimo in grado di conoscere quali siano effettivamente questi dettagli (assunzione parecchio ottimistica). Quello che si fa, quindi, è fare delle approssimazioni ragionevoli, in modo da selezionare solamente le variabili importanti del problema che stiamo studiando e di creare un semplice modello matematico che possa descriverlo nella sua essenza. E qual è lo scopo di un modello matematico del mondo? Fare predizioni. Un modello che non sappia fare predizioni che siano poi confrontabili con i dati empirici è come un preservativo bucato: inutile.
Quindi questo è il ciclo di un sano approccio analitico-descrittivo della realtà:
- osservare il problema
- fare delle assunzioni o approssimazioni ragionevoli
- comprimere tutta questa complessità in un semplice modello matematico con poche variabili esplicative
- confrontare le predizioni del modello con i dati
- aggiornare il modello o le assunzioni sulla base del precedente test
- se il modello passa il test, poi può essere impiegato per prendere decisioni riguardo al futuro
Questa è la teoria ma, in pratica, cosa succede? Beh, avere un modello della realtà è parecchio figo, soprattutto se sei pagato per costruire questi modelli. Ma il mondo è così dannatamente difficile signora mia, e io faccio del mio meglio per avere qualcosa tra le mani, quindi provo con un po’ di assunzioni e approssimazioni che mi consentano di fare i conti e sono felice. Dopotutto, avere un modello scarso è sempre meglio che non avere niente, giusto? Giusto, ma non sempre. Se sei in un laboratorio di fisica e stai cercando di calcolare la traiettoria di un elettrone, poco importa se il tuo modello sbaglia la predizione. Sistemi quì e là, raccogli altri dati e migliori il modello fino a che non sei felice. Innocuo. Ma la fisica è una scienza privilegiata, diciamolo pure. Supponiamo invece che tu sia un economista, e che sulla base dei tuoi modelli vengano prese decisioni che spostano miliardi. Perdipiù in un ambiente altamente aleatorio (i mercati), dove grandi fluttuazioni da far sbiancare qualsiasi Gaussiana sono sempre dietro l’angolo. E, soprattutto, dove il giochino del trial and error semplicemente non funziona a) perchè non ti è concesso di sbagliare più di tanto b) perchè per la natura stessa del mercato spesso non è possibile “imparare dai dati”: non vi sono correlazioni a breve termine Ecco: in questi casi, non avere niente e gestire il rischio in modo conservativo è meglio che avere un modello precisamente sbagliato.
Insomma, quello che ho imparato da questo libro è che bisogna scendere dal piedistallo del fisico che è raggiante di avere un semplice modello con cui si riescano a fare i conti, e cominciare a guardare alle proprie ipotesi in modo critico e, soprattutto, onesto. (In realtà di solito i fisici fanno un buon lavoro in questo, sono gli economisti che mi preoccupano :) )
Lorenzo